Razzismo in Giappone: esperienza da gaijin per riconoscerlo ed evitarlo
Oggi voglio parlare della mia personale esperienza rispetto ad un fenomeno controverso e spesso dibattuto: il razzismo in Giappone. Dietro l'immagine di perfezione che spesso emerge nei racconti turistici, si cela la complessa questione circa il rapporto del Giappone con gli stranieri e i fenomeni legati al razzismo e alla xenofobia.
La percezione dello straniero: un equilibrio tra fascinazione e distacco
La parola “gaijin” (外人), che letteralmente significa “persona esterna”, è spesso usata per indicare gli stranieri. Questo termine, sebbene non apertamente offensivo, porta con sé un senso di alterità. La dicotomia tra "noi" e "loro" è una parte integrante della società giapponese, radicata in secoli di isolamento culturale, geografico ed economico durante il periodo Edo.
Nonostante il Giappone moderno sia aperto al turismo e alle influenze globali, rimane una certa ambiguità nel rapporto con il diverso. Da una parte, c'è un evidente fascino verso le culture straniere, spesso tradotto in una sorta di feticismo culturale: l'idealizzazione di aspetti della cultura occidentale (moda, musica, lingua, tratti somatici) o asiatica (gastronomia, artigianato). Dall'altra, permangono atteggiamenti di chiusura, soprattutto quando si tratta di integrazione sociale o lavorativa. Spesso, nella maggior parte delle persone, questo deriva da un forte livello di conservatorismo e tradizionalismo culturale più che di vero e proprio razzismo verso lo straniero o disgusto per tutto ciò che è diverso.
Huis Ten Bosch, Parco a Tema in stile olandese vicino a Nagasaki. Prova dell’ammirazione di culture estere che si sono avvicinate al Giappone nei secoli grazie al commercio e alla diplomazia. Foto su licenza Unsplash
Esperienze comuni di razzismo: segnali da riconoscere
Il razzismo in Giappone non si manifesta spesso in forme violente o aggressive, ma piuttosto in microaggressioni o esclusioni sottili, spesso difficili da decifrare. Alcuni esempi includono:
Divieti per stranieri: Alcuni ristoranti, onsen (bagni termali) o complessi abitativi sono più o meno esplicitamente “No Gaijin”. Questo può sembrare un atto discriminatorio, ma in molti casi nasce dalla preoccupazione di evitare incomprensioni culturali o linguistiche. La cultura giapponese pone molta enfasi sull’evitare disagi agli altri, pertanto molte norme sono pensate per prevenire situazioni di tensione e incomprensione, per questo ci sono tantissime regole scritte e non scritte.
Diffidenza lavorativa: Gli stranieri possono incontrare difficoltà nell’accedere a posizioni di rilievo, anche quando qualificati, a causa di una percezione di inadeguatezza nel comprendere le complessità delle norme aziendali giapponesi e la lingua. Alcune aziende come 7-Eleven, puntano molto all’integrazione con forza lavoro straniera e invitano i clienti ad avere comprensione e pazienza riguardo il livello della lingua giapponese parlata dal personale. Inoltre, l’iter per accedere a visti lavorativi è abbastanza complesso in quanto la burocrazia giapponese è particolarmente macchinosa e ridondante.
Commenti stereotipati e tatemae: Non un vero e proprio fenomeno legato al razzismo, ma la cultura giapponese si basa molto su chiacchiere spicce e una forma di cortesia chiamata tatemae, che prevede di assumere un comportamento conforme alle aspettative della società e del proprio ruolo. Pertanto, spesso molti commenti possono, da un punto di vista occidentale, sembrare un po’ freddi, impersonali e talvolta addirittura falsi. Questo però è marcato in situazioni formali o pubbliche, in contesti più intimi anche i giapponesi chiaramente sono capaci di riflessioni e commenti onesti e trasparenti. Dunque è importante saper leggere tra le righe e abituarsi al tatemae per evitare fraintendimenti che possono portare a mal interpretare certe situazioni. Ad esempio, raramente i giapponesi usano dei NO chiari e secchi, ma usano giri di parole abbastanza standardizzati, che ad un orecchio poco esperto possono sembrare risposte vaghe, confusionarie o spesso addirittura dei “sì”.
Proteggere lo straniero: discriminazione o tutela?
Un aspetto interessante è che alcune forme di discriminazione possono essere viste come un tentativo, maldestro ma sincero, di proteggere lo straniero. I giapponesi stessi riconoscono la complessità del loro sistema culturale e morale, temendo che un visitatore possa sentirsi sopraffatto o fraintendere certi comportamenti. Ad esempio, la riluttanza a ospitare stranieri in certi contesti (come ad esempio alcuni hostess club) nasce dal desiderio di evitare situazioni imbarazzanti o conflitti derivanti dalla barriera linguistica e da norme non scritte, come le regole sull'uso dei bagni termali o il silenzio nei trasporti pubblici. E in effetti, a volte, di fronte a così tanto rigore e rispetto, da occidentale mi sento proprio inadeguato, soprattutto se di fianco a me ci sono gruppi di turisti occidentali estremamente rumorosi e senza la benché minima consapevolezza di sé in relazione al contesto.
Kabukicho a Shinjuku, Tokyo, famoso per i suoi tani locali di intrattenimento per adulti. Foto su licenza Unsplash
Come evitare e superare le barriere
Un approccio rispettoso, curioso e consapevole può fare la differenza. Ecco alcuni consigli per vivere un’esperienza positiva:
Imparare le basi della lingua giapponese: Anche un semplice “Arigatou gozaimasu” (“Grazie mille”) o un inchino possono dimostrare rispetto e sforzo. Prepara Google Traduttore e informati circa le basi delle buone maniere in Giappone.
Rispettare le norme locali: Informarsi sulle regole del posto, come togliersi le scarpe prima di entrare in una casa o rispettare il silenzio nei luoghi pubblici. Insomma, impegnarsi ad omologarsi e non arrecare disagio.
Non forzare l’intimità: I giapponesi possono essere riservati; rispettare i confini personali è fondamentale. Se hai intenzione di interagire con le persone del posto, prepara frasi fatte e commenti entusiasti, seppur di circostanza. Limita le lamentele e cerca di avere sempre un approccio ottimista e positivo anche di fronte a situazioni problematiche.
Allo stesso tempo, mi aspetto che il Giappone evolva verso una maggiore flessibilità. Con l'aumento del turismo e l'incremento degli stranieri residenti, è verosimile che alcune rigidità si attenuino, promuovendo una società più inclusiva seppur tradizionale e conservatrice.
Spero che il Giappone rimanga il Giappone. Foto di Walk of Japan
Verso una maggiore comprensione reciproca
Personalmente non ho mai subito discriminazione o vissuto esperienze anche solo dubbiamente negative o problematiche. Per ogni esperienza di esclusione, ci sono storie di accoglienza calorosa e sincera curiosità. La chiave è l’adattamento reciproco: gli stranieri devono sforzarsi di comprendere e rispettare le norme locali, mentre il Giappone deve aprirsi progressivamente alla diversità, abbracciandola come un’opportunità di crescita e confronto.
Rimango però fermamente convinto che il Giappone debba rimanere Giappone: le scene che si moltiplicano sui social che coinvolgono turisti cafoni e fuori controllo, devono essere prese seriamente e punite in modo estremamente rigido. Viaggiare è un privilegio ed è un lusso della nostra epoca, non è un diritto. Visitare casa d’altri richiede umiltà, garbo, rispetto, curiosità e spirito d’adattamento. Viaggiare in Giappone non lo prescrive il medico, dunque se non si è disposti a mettersi in discussione e smussare certi propri comportamenti, è meglio scegliere un’altra destinazione magari culturalmente più vicina.
Così sono dell’idea si potranno costruire ponti culturali solidi, superando i pregiudizi e celebrando l’autentica bellezza dell’incontro tra culture diverse.
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